CARTA PARA INFORPIME Ermanno Battisti

Carissimi confratelli e amici, approfitto la venuta in Italia per mandarvi tanti auguri e chiedere su noi tutti la protezione di Maria, oggi assunta in cielo. Vi do anche mie notizie e approfitto per alcune riflessioni.

Il 2014 è, per me, un anno che é incominciato con progetti e sogni, ma che va avanti con sorprese, difficoltà e frustrazioni.

In gennaio avevo l’agenda piena prevedendo, tra l’altro, l’apertura della nuova missione in Oiapoque, articolata con le Chiese di Caiena e Paramaribo nella Guiana Francese e Suriname. Oiapoque è il municipio piú a nord del Brasile, al confine con la Guiana francese e prossimo a quella olandese e inglese.

La missione è una risposta al traffico umano di donne e bambini, alla droga e al lavoro schiavistico che attingono la popolazione piú umile. É una missione nuova sia nell’ambito dell’azione come anche nella metodologia. Giá c’è stata, a titolo di esperienza, una permanenza di missionari nella regione nei mesi di giugno e luglio. Adesso, a partire dalla fine di ottobre rimarranno a Oiapoque un padre oblato con molta esperienza e un laico. Studieranno a fondo la situazione e inizieranno una coordinazione principalmente con la Guyana francese. È la Chiesa che va alle periferie per condividere la sofferenza dei nostri fratelli e sorelle. È una missione anche pericolosa perché quando si tratta di prostituzione, droghe e lavoro schiavistico i soldi che corrono sono miliardi.

Continua la missione tra i popoli indigeni principalmente nel comune di Oiapoque e nel sudeste del Pará. Per questa abbiamo scelto due priorità: risposta ai cambiamenti culturali che la modernità produce e valorizzazione dei ministeri dentro la Chiesa.

Nel primo campo cerchiamo di aiutare le comunità a riflettere sui cambiamenti che stanno avvenendo negli ultimi anni e che minacciano di distruggere la stessa tradizione. Lo facciamo richiamandoci alla stessa cultura e al Vangelo.

Stando a Roma in luglio, per cure, ho avuto modo di scambiare idee con padre Giovanni Di Lenarda la cui missione si realizza nell’isola di Goodnough in Papua Nuova Guinea e con padre Claudio Corti che ha lavorato in Tailandia con i popoli nativi: Akha, Lahu e Lisu; e io con la missione tra i popoli indios in Brasile. Abbiamo parlato dei cambiamenti culturali che si sono verificati negli ultimi anni. Sembra impossibile come in regioni così distanti, con popoli tanto differenti i cambiamenti si rassomiglino anche nei particolari. Il cosiddetto progresso, l’accesso ai soldi e il loro uso, la facilità di contatto con altre società, la venuta dell’elettricità e con lei della televisione, del telefonino e sempre più frequentemente di internet, cambiano le persone da dentro; cambia la maniera di pensare e di comportarsi.

È importante che le comunità e le persone interessate si rendano coscientemente conto di quello che avviene. È importante che valutino le conseguenze sul modo di vita, principalmente dei giovani. È proprio questo che vogliamo? Siamo sicuri che questo cammino ci fará felici? E se non è questo dove trovare le alternative? Dobbiamo per caso rifiutare quello che la società ci offre e rimanere chiusi nel nostro mondo? Vogliamo rimanere isolati?

A questo punto cerchiamo di recuperare la cultura, le tradizioni degli anziani e degli avi. Vedere quello che è cambiato, e distinguere tra quello che deve cambiare e quello che può e deve rimanere. Come accettare i cambiamenti e conservare i valori della nostra tradizione? Cosa dobbiamo accettare e cosa dobbiamo rifiutare?

Dato che siamo cristiani e vogliamo essere discepoli di Gesù, è importante anche il confronto con il Vangelo; qual è la proposta di Gesù e come lui ha vissuto nella società del suo tempo e come i cristiani primitivi si sono comportati. In questo confronto frequentemente si scopre che la cultura degli antichi è più in sintonia con il Vangelo della maniera di pensare e vivere della società moderna.

È logico che stimoliamo anche tutta la comunità ma una riflessione più profonda e la capacita di riformulare il progetto di vita si realizza solo con un gruppo più ristretto. È importante però che questa scelta sia conosciuta e che serva di esempio per chi vuole.

Riguardo alla struttura della vita cristiana puntiamo sull’autonomia pastorale preparando gli stessi indios a assumere i ministeri di cui la comunità ha bisogno. È questo il discorso dell’inculturazione e della crescita della Chiesa indigena e che merita essere approfondito.

 

Avevamo lasciato il mese di aprile per realizzare questa missione tra gli indios Tiriyó e Kaxiuiana, sulla frontiera di Suriname,preparando alcuni dirigenti per essere ministri dei sacramenti del Battesimo e del Matrimonio. La richiesta era venuta dagli stessi frati francescani e dalle suore di questa missione e anche incoraggiati dall’interesse del vescovo di Óbidos Mons. Bernardo, nella cui diocesi si trova la missione. Arrivammo prima della Settimana Santa. Agli incontri erano presenti i dirigenti indios di circa 20 villaggi sparsi in quella regione. Incominciammo con grande entusiasmo. Ma il Venerdì Santo accusai, d’improvviso una febbre quasi a 40 gradi. L’aereo é venuto a prenderci dopo 10 giorni. Arrivati in Belèm, sono stato ricoverato in ospedale. Hanno scoperto la polmonite e una forte anemia, ma nonostante i molti esami non sono riusciti a individuare l’infezione che provoca, tra l’altro, molti disturbi intestinali. La febbre, anche se con temperature più basse, è durata per due mesi. Dovevo venire in Italia, nell’estate, per controlli, da quando mi hanno tolto un polmone e un grande tumore nel 2012. In Italia ho consultato specialisti e sono continuati gli esami, ma senza risultato. Non hanno trovato l’ infezione però hanno trovato un nuovo tumore nel punto dove avevano reciso il precedente. La PET TC ha confermato la presenza del tumore.

Quando hanno fatto la biopsia hanno approfittato, di iniziativa loro, per realizzare una chirurgia in cui hanno tolto un nodulo e un volume di carne equivalente a un pugno chiuso. Dovevo ripetere la chemioterapia e ero un poco dispiaciuto per gli impegni in Brasile. Da aprile ero inutilizzato e ora avrei dovuto fermarmi in Italia per alcuni mesi. Ma dieci giorni fa la mia oncologa mi disse avrei fatto la cura oralmente attraverso un medicinale, chiamato TARCEVA, che ostacola l’attività della proteina che influisce sulla crescita delle cellule tumorali. Questa cura avrei potuto farla in Brasile; immaginate la mia contentezza.

È stato un momento difficile per me che ero convinto di essermi liberato definitivamente da questo male.

Ci ho messo un pochino a riprendermi; di nuovo dovevo riformulare la mia vita, principalmente in missione. Mi sono fermato davanti al tabernacolo e ci siamo guardati in silenzio. I superiori spingevano perché rimanessi in Italia: la terra di missione era diventata d’improvviso pericolosa e fonte di malattie. Io dicevo che dovevamo consultare i medici per vedere cosa fare.

Ritornai alla preghiera di abbandono di Charles de Foucault, molto somigliante all’Atto di Offerta delle nostre preghiere del mezzogiorno. L’ho rinnovato dal profondo del cuore. Come due anni fa mi sono abbandonato nelle mani del Signore e della Vergine di Guadalupe e allo stesso tempo ho deciso di fare di tutto per combattere il male. Quello che dovevo fare giorno per giorno lo dovevano dire le circostanze e i medici.

In questi giorni è capitata la lettura di Rm 8,31ss che mi ha molto consolato e rianimato. Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo? Non sarà la malattia. Eppure la malattia riesce si a separare persone, anche devote dall’amore di Cristo. Oggi è la festa dell’Assunta. Davanti alla donna incinta c’è il drago, dal colore del fuoco, con sette teste e 10 corni, pronto a divorare il bambino che doveva nascere. Il peccato, la certezza della morte e la sofferenza sono il drago che vuole distruggere i nostri sogni e la nostra speranza. Ma chi è condannato a morte è Lui. Noi siamo già vincitori in Cristo che ha vinto la morte. In un paesino qui vicino, Piancastagnaio, ho celebrato all’aria aperta la messa per gli ammalati. Siamo stati in comunione e abbiamo chiesto la grazia di vedere nella malattia un tesoro, una ricchezza che Dio mette a nostra disposizione e ci rende partecipi della sua croce. Lui ci ha salvato così. Santa Teresina lo ha capito e ha ricevuto la grazia di partecipare con Cristo alla redenzione del mondo. È la patrona delle missioni, la paladina del Regno.

Con S. Paolo abbiamo ripetuto: “siamo tribolati da ogni parte ma non schiacciati; siamo sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale”.

Ripeto la preghiera della messa 20ª del tempo comune: “ infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa otteniamo i beni da te promessi che superano ogni nostro desiderio.”

Signore, dacci la fede e la certezza ce ciò che tu vuoi e fai per noi supera tutti i nostri sogni e desideri.